Estate 1956, è appena finita la mietitura del grano nelle campagne, a Vigne, ci si prepara alla trebbiatura del grano. Si inizia presto la mattina e si fa tardi la sera. Bisogna essere pronti con i covoni di grano perché, quando passa la trebbiatrice dalla zona, deve essere tutto pronto. Più che un lavoro sembra una festa e nonostante lo sforzo del lavoro pesante si fa tutto con grande entusiasmo. È il momento della raccolta, della giusta ricompensa, il primo traguardo di un anno che non è stato facile anzi i ricordi di un gelido, lungo inverno sono ancora vivi nella memoria.
La nevicata del ‘56. Avevo poco meno di sei anni e vivevo, con i miei genitori, un fratello nato da poco e una sorella poco più grande di me, nel mio paese natale, o meglio nella frazione Vigne, comune di Verzino, nella pre Sila Crotonese. Era lì che passavo le giornate, spesso da solo, dopo la scuola, o con alcuni amici vicini di casa.

La strada in cui abitavo era una mulattiera, un tempo molto trafficata dai tanti contadini che avevano i terreni in quella Frazione. Allora di fianco alla casa paterna c’era quella di mio zio con due figlie piccole e tutt’intorno vigneti, uliveti e campi coltivati a grano, orzo, ceci e fave. Quel tratto di strada era scavato su un terreno che scendeva dolcemente verso un torrente, quasi secco d’estate ma tumultuoso d’inverno. Da un lato collegava la casa dei vicini distante un centinaio di metri e dall’altro si collegava alla strada carrabile che portava in paese, a Verzino. Davanti alla casa un vasto spiazzo, la coorte, che aveva diversi utilizzi. Aia per la battitura dei raccolti estivi ( grano, ceci, ecc.). Centro di raccolta degli anziani quando c’era da prendere delle decisioni comuni a tutto il vicinato o semplicemente ritrovo per passare una serata in allegria e bere un buon bicchiere di vino e per i più piccoli campo di gioco. Tutto filò liscio fino alla sera del 7 febbraio quando tutto venne stravolto nella mia vita di ragazzino cresciuto senza grandi cambiamenti e scossoni. La sera del 6 febbraio andai a letto, con un po’ di preoccupazione perché faceva molto freddo e dallo spioncino del finestrino sopra la porta, si vedevano i fiocchi di neve che, spinti dal vento, si spiaccicavano sul vetro. Erano già alcuni giorni che le temperature erano abbastanza rigide e spessi nuvoloni si addensavano in cielo. Dopo un inizio inverno abbastanza mite non immaginavo quello che sarebbe accaduto da lì a pochi giorni. Mio padre aveva sentito parlare di una perturbazione nevosa per tutta Europa ma non avendo né radio né televisione, anche perchè non avevamo ancora l’energia elettrica, non si aveva contezza di quello che sarebbe poi successo. La mattina dell’otto fui svegliato dai miei genitori che trafficavano su e giù dalla scala interna che portava nel magazzino delle scorte dei viveri e degli attrezzi. Chiesi se era ora di alzarmi per andare a scuola ma per tutta risposta mi dissero che oggi si restava casa. Restare a casa? Molto strano a scuola si andava sempre, con brutto tempo, pioggia o neve. La scuola non si saltava per nessun motivo. Cosa sarà mai successo?

La curiosità mi prese e saltai dal letto. Andai in cucina, il fuoco era ancora spento, faceva un freddo cane e mia sorella non si vedeva ancora in giro. In quel momento mia madre risalendo dal magazzino mi rimproverò perché mi ero alzato. Non attese la mia risposta lascio’ cadere un mazzo di fascine vicino al caminetto e si apprestò ad accendere il fuoco. <<Vai a vestirti prima che prendi un malanno>>.

Molte di quelle sere gli adulti provvedevano ad accendere grossi falò in strada, c’era bisogno di stare insieme e di comunicare, poi le donne cuocevano sempre qualche piatto sulla brace e, buonissime, le patate sotto la cenere dal sapore veramente unico .
Poi, tutto finì, la neve andò via e costrinse tutti a ritornare alla realtà quotidiana che avevamo dimenticata, quasi come se fosse rimasta sospesa per un lungo periodo ed io a scuola. Questo il ricordo bellissimo che ho della più grande nevicata del ventesimo secolo, e non è poco.
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